Come parlare di sex work

Migliorare la narrazione sui media

Illegalità, sfruttamento, degrado, schiavitù, droga, lusso. Sono queste le parole maggiormente associate al lavoro sessuale nella stampa italiana al giorno d’oggi. La rappresentazione mediatica contemporanea, avvalendosi di un linguaggio allarmistico, pietistico e sensazionalistico, ci offre narrazioni semplicistiche, pregiudizievoli e piuttosto polarizzate. Tali narrazioni influenzano profondamente la nostra visione del sex work e contribuiscono a rafforzare pregiudizi e stigma.

 

Uno dei maggiori pregiudizi con quali ci scontriamo riguarda l’idea che chi fa sex work sia unǝ  vittimǝ  incapace di difendersi e scegliere per se stessз . Sembra banale ricordarlo, ma chi fa sex work è una persona comune. Una persona con risorse, competenze, abilità e spirito critico.

 

Il linguaggio e le rappresentazioni non sono solo espressione delle credenze e dei modelli culturali di una determinata società, ma contribuiscono a plasmare e orientare i nostri pensieri e comportamenti. Siamo convintз che per muoversi in direzione di una società aperta e non discriminante i media giochino un ruolo fondamentale. Per questo, avvalendoci della guida scritta da Amarna Miller, abbiamo sintetizzato alcuni consigli rivolti ai media per parlare di sex work in modo corretto.

 

Se sei unǝ giornalistǝ o se lavori nel campo della comunicazione e vuoi contribuire ad innescare un cambiamento nella percezione sociale del lavoro sessuale ti consigliamo di leggere attentamente questi 9 punti.

Decentramento delǝ giornalista

Per ottenere una narrazione fedele alla realtà invitiamo chi scrive a lasciare da parte il più possibile ideali e credenze individuali e ad analizzare i fatti in modo critico oggettivo.

Cercare informazioni affidabili

Molti articoli abbondano di errori e imprecisioni che reiterate nel tempo legittimano e consolidano idee profondamente scorrette. Alcuni errori frequenti sono ad esempio suggerire che la prostituzione in Italia sia illegale, sostenere che lз sex worker si battano per  la legalizzazione (sosteniamo il modello della decriminalizzazione) ed operare una distinzione netta tra sex worker libere (“happy hooker)” e sex worker vittime, quando in realtà si tratta di una questione molto più complessa. Consigliamo di informarsi e accertarsi delle fonti da cui si prendono le informazioni.

Qui un articolo in inglese che spiega il modello nordico scritto dal collettivo SWARM: Everything You Ever Wanted To Know About The Swedish Model (aka The Nordic Model) — SWARM Collective 

Utilizzare un linguaggio corretto 

Un secondo aspetto fondamentale sono le espressioni e i termini utilizzati. Di frequente si impiegano espressioni, come “vendita del corpo” o “tratta delle bianche”, stigmatizzanti, discriminati nonché scorrette. Un’attenzione particolare va rivolta quando si intende parlare delle persone trans. Se si tratta di una donna trans (male-to-female o MtF) vanno usati pronomi e articoli femminili; al contrario se si sta parlando di uomini trans (female-to-male o FtM) vanno utilizzati pronomi e articoli maschili.

Andare oltre le banalizzazioni e il pietismo

Come si è detto, i media tendono a fornire un immaginario piuttosto vittimistico e paternalistico delle persone che fanno sex work, dimostrando così di restare in superficie. “Sex work” è un termine ombrello che racchiude una moltitudine di tipologie, esperienze e motivazioni. Vi invitiamo a cogliere la complessità e a fornire rappresentazioni plurali.

Ascoltare lз protagonistз

Le persone che fanno sex work sono coloro che più di tutte hanno diritto e facoltà di parlare di lavoro sessuale. Anziché basarsi sul sentito dire, sulle generalizzazioni e reiterare informazioni scorrette e stereotipate, vi suggeriamo di spazio a chi fa sex work, soprattutto alle persone trans, migranti e razzializzate.

Attenzione a foto e dati sensibili

Spesso i media pubblicano foto, video e dati senza aver avuto il consenso dellз sex worker. Ricordiamo che è necessario chiedere sempre il consenso delle persone coinvolte. Non è necessario inoltre abbinare agli articoli foto rubate di street sex worker o immagini di archivio di donne con tacchi, calze a rete e minigonna. In caso di interviste, utilizzate le foto e le informazioni che le dirette interessate vi hanno inviato, evitando di reperire materiale su internet (per esempio prendendo fotogrammi di scene porno o fotografie di altre interviste).

Non equiparare il sex work allo sfruttamento

Rappresentare il lavoro sessuale come di per sé criminale, degradante e violento è sbagliato. Lo sfruttamento e la violenza nel nostro settore esistono, ma non sono costitutivi del mercato del sesso. Lo dice chiaramente il Sex Workers in Europe Manifesto.

«L’alienazione, lo sfruttamento, l’abuso e la coercizione effettivamente esistono nell’industria del sesso, come in qualunque altro settore industriale; essi non definiscono noi o la nostra industria. Tuttavia, solo nel momento in cui il lavoro viene formalmente riconosciuto, accettato dalla società e sostenuto dai sindacati, si possono stabilire dei limiti, solo quando i diritti del lavoro vengono riconosciuti e applicati i lavoratori e le lavoratrici saranno nelle condizioni di denunciare gli abusi e organizzarsi contro condizioni di lavoro inaccettabili e uno sfruttamento eccessivo».

Consultare le organizzazioni

Se avete dubbi o volete maggiori informazioni su come parlare di sex work in modo corretto e rispettoso, vi suggeriamo di contattare direttamente le organizzazioni di sex worker. Inoltre, vi consigliamo di leggere libri, manifesti, linee guida e documenti prodotti direttamente da chi fa sex work.

Global Network of Sex Work Projects

Red Umbrella Fund

ICRSE: International Committee on the Rights of Sex Workers in Europe